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Gli effetti delle violenze sessuali subite nell’infanzia

Una riflessione che connette il modello dell’Essere Umano, che la Psicologia dell’Evoluzione Armonica della Coscienza (PEAC) propone, ai più recenti studi sugli “sviluppi traumatici” delle esperienze delle vittime di abuso sessuale nell’infanzia

Tale collegamento ha un’utilità sia dal punto di vista della riflessione etiopatogenetica, che di quella metodologica, che di quella “esistenziale”. Il modello delle “Cinque dimensioni” della PEAC, infatti, consente sia di poter ri-leggere e riconoscere agevolmente gli effetti traumatici di questo tipo di esperienze infantili, che di individuare gli strumenti più consoni alla riparazione del trauma, ma soprattutto, consente di inserire nell’ambito di una riflessione più ampia, relativa al significato più profondo della propria Esistenza e delle proprie opportunità, gli eventi traumatici subiti.

Le forme pensiero – La PEAC propone un modello sistemico dell’essere umano, che considera la “personalità” come l’involucro più esterno della sua essenza, ovvero di quel nucleo che possiamo chiamare “Coscienza evolvente”. In questo modello, dunque, la personalità è solo l’apparenza più visibile, ma non la più importante, di un essere umano. L’essere umano viene considerato come un sistema complesso e gerarchicamente ordinato, sintetizzato attraverso 5 principali Dimensioni, atte a rappresentare livelli diversi di vibrazione, dal cui reciproco rapporto dipende lo stato di benessere di un individuo. La Dimensione Mentale può essere considerata come una casa costruita dai mattoni delle nostre credenze e convinzioni: i mattoni sono le cosiddette “forme pensiero”.

Il concetto di forma pensiero è stato introdotto da Leadbeater e Beasant, i quali, agli inizi del Novecento, che le definiscono come “entità viventi”, generate dai pensieri umani, e costituite da una vibrazione irradiante, un colore ed una forma. Interessante notare come questi studi non si discostino di molto, a quasi un secolo di distanza, dalle più moderne teorie della fisica quantistica. Leadbeater e la Besant distinguono tra una forma-pensiero pura, costituita da materia più sottile, quella del corpo mentale, che è stata generata da un pensatore evoluto, e una forma-pensiero, che riguarda le passioni, costituita da una materia più densa, quella del piano dei desideri o piano emotivo. Queste forme-pensiero sono generate da una mente dominata o offuscata dal desiderio. Leadbeater e la Besant chiamano tali essenze “elementali artificiali”.

“Ogni individuo si muove nello spazio racchiuso in una gabbia di costruzione propria, circondato da una massa di forme-pensiero che sono il frutto delle sue abituali attività mentali”. Quindi, quando qualcuno nutre un pensiero molto a lungo, l’elementale creato diventerà sempre più potente. Una forma pensiero può costruirsi in un clima di maggiore o minore consapevolezza, a seconda della luminosità del sistema in cui viene sviluppata: pertanto, nella diagnosi della Dimensione Mentale, troveremo alcune forme pensiero consapevoli e allineate alla Coscienza ed altre forme pensiero, inconsapevoli e disarmoniche.

Le forme pensiero rappresentano una “realtà” della nostra mente, che “contiene” le “forme” che i nostri pensieri assumono e che vengono nutrite e potenziate. Le forme pensiero scaturiscono dalla storia della persona che le genera, dai suoi concetti e preconcetti, dalle proprie credenze e dalle proprie esperienze e relazioni. La maggior parte dei nostri pensieri vengono generati e dispersi, perdendo potere subito dopo, in quanto per lo più sono inconsapevoli. Altri divengono stabili nel tempo, perché vengono continuamente riportati alla memoria e possono avere un effetto sugli altri, nel momento in cui siano imbevuti della dimensione emotiva (in questo caso possiamo parlare di forme pensiero condizionanti). Le forme pensiero inconsapevoli, automatiche e disarmoniche costituiscono le sbarre della prigione della Mente Inferiore, che le impedisce di dialogare proficuamente con la Mente Superiore.

È quanto avviene in alcune situazioni, in cui i pensieri si ostinano e si fissano in alcune categorie rigide, o oscillano da un opposto all’altro, perdendo, comunque, la visione più ampia che consente di riconnettere la mente alla Coscienza, che alberga nel Corpo Causale e ci permette di cogliere il senso più generale, profondo e ampio delle cose. Nella PEAC l’analisi delle proprie forme pensiero permette di esplorare appieno la qualità dei propri pensieri, specie di quelli maggiormente ricorrenti, andando ad individuarne la qualità, l’influenza che hanno nelle scelte della vita quotidiana, e molto spesso anche le origini, riuscendo, in questo modo, a distinguere le forme pensiero nate e nutrite nel contesto familiare, culturale, in quello sociale più ampio e così via.

Una forma pensiero viene sintetizzata, nel corso di un lavoro con la PEAC, da una frase, ed è spesso rappresentata da una immagine che viene colta intuitivamente nel corso del lavoro stesso. L’esplorazione delle forme pensiero, in questo senso, rappresenta un vero e proprio viaggio, all’interno degli spazi meno illuminati della mente duale e consente di acquisire consapevolezza dei propri pensieri e di condividerli: portare alla luce le forme pensiero più nascoste, inconsapevoli o imbarazzanti ed è il primo passaggio verso la loro trasformazione, se sono alla base di una condizione di disarmonia o di sofferenza, o di utilizzo più consapevole, se attingono alle potenzialità nascoste in se stessi, alle quali accediamo meno frequentemente.

La frase che le esprime, connessa anche alla loro “forma”, può essere colta intuitivamente durante i Colloqui realizzati con la PEAC, o durante esperienze di Meditazione. Secondo il principio per cui “l’energia segue il pensiero”, ciò che creiamo a livello mentale, sia pure inconsapevolmente, ha un effetto sul piano materiale. Indagare le forme pensiero prodotte dalla nostra attività mentale, il loro colore ed il loro potere, permette di comprendere la causa di alcune azioni ed il senso di quanto accade.

L’interazione che avviene, a livello mentale, tra due persone impegnate in una relazione, o, in maniera ancora più incisiva, nell’ambito di una famiglia, di un gruppo di lavoro, di una nazione, può essere rappresentata attraverso l’interazione delle diverse forme pensiero. I nostri pensieri hanno dunque, in questa prospettiva, un preciso effetto su chi ci circonda, a condizione che incontri, negli altri, pensieri con un livello vibratorio simile. È questo tipo di interazione che spiega, per esempio, la sensazione di essere protetti, se sappiamo che una persona cara ci sta pensando e sostenendo con i suoi pensieri.

La violenza e gli effetti sul piano clinico – Marinella Malacrea (1997) indica due fattori principalmente nella spiegazione del perché un abuso sessuale nell’infanzia produca un trauma:

  1. L’esistenza di un legame di dipendenza, anche affettiva, tra chi subisce e chi agisce il trauma sessuale
  2. Gli sforzi attivi dell’adulto per mantenere tale rapporto di soggezione, attraverso l’ “imbroglio”, ovvero i sistemi di intimidazione e controllo usati per mantenere il segreto

Ciò che sottende entrambi i fattori è il tentativo di paralizzare le difese della vittima, nella confusione tra ciò che è bene e ciò che non lo è, ciò che è lecito o è illecito, o più sottilmente tra ciò che è piacevole e veicolo di sentimenti positivi e ciò che non lo è. Finkelhor e Browne (1985, cit. da Malacrea, 1997) descrivono tra i sentimenti che provano i bambini che sono stati oggetto di abuso:

  • Il sentimento d’impotenza: il bambino sperimenta di non avere controllo della propria vita
  • Il vissuto di tradimento
  • Il pensiero “mi amano perché non valgo niente
  • La sessualizzazione traumatica
  • La stigmatizzazione, come percezione di una profonda differenza rispetto al resto del mondo che non ha sperimentato l’abuso

In una recente pubblicazione, Liotti e Farina (2011), riferendosi a numerosi altri Autori, arricchiscono queste descrizioni approfondendo il concetto di “Disturbo Post-Traumatico da Stress complesso” (DPTSc), lì dove per “traumi complessi” s’intendono eventi traumatici multipli che si ripetono in intervallo di tempo prolungati, che avvengono all’interno di relazioni alle quali la vittima non può sottrarsi (pag. 21). Il quadro di questo Disturbo prevede sette gruppi di sintomi che descriviamo di seguito e che proviamo a connettere alle 5 Dimensioni considerate dalla PEAC:

Alterazioni della regolazione di emozioni ed impulsi: Dimensione fisico-eterica ed emotiva
Sintomi somatoformi: Dimensione eterica
Alterazioni nella rappresentazione o percezione delle figure maltrattanti: Dimensione emotiva e mentale
Sintomi dissociativi e difficoltà dell’attenzione: Dimensione mentale
Alterazioni nella rappresentazione o percezione di sé: Dimensione mentale
Disturbi relazionali, alterazioni dei significati personal: Dimensione Causale

In particolare, è importante considerare il fatto che la difficoltà o l’impossibilità a sfuggire alle esperienze traumatiche provoca una serie di “credenze patogene”, come per esempio la credenza che sia impossibile perseguire sia mete di autonomia sia mete di vicinanza affettiva.

Utilizzando il modello delle forme pensiero descritte poc’anzi, possiamo dire che l’esperienza sessualmente traumatica nell’infanzia produce specifiche forme pensiero che rispondono alla vibrazione di “imbroglio” e “dipendenza” descritte dalla Malacrea, nate dall’interazione dei pensieri di vittima e abusante. Tali forme-pensiero, vere e proprie entità viventi, addensate dalle vibrazioni più basse, cupe e confusive del desiderio sessuale, producono “a cascata” gli effetti descritti nel DPTSc, sul piano dei pensieri, delle emozioni, del corpo fisico.

Sintomi che fanno pensare, in una persona adulta, a violenze pregresse (avvenute nel periodo infantile) – Nella nostra esperienza, i principali sintomi che si manifestano in una persona adulta che abbia subito violenze sessuali durante l’infanzia sono:

  • Assenza di ricordi del periodo in cui possono essere avvenute le violenze. Generalmente tale assenza riguarda tutti i contesti di vita della persona che avverte un buio rispetto al passato, non avendo memoria né di episodi felici né di episodi dolorosi. In altri casi, possono esserci ricordi, ma confusi e non collocabili nel periodo critico. Nella maggior parte dei casi la rimozione della memoria del passato si estende a tutto il periodo dell’infanzia, fino ad arrivare ai 12-13 anni
  • Presenza di meccanismi di difesa molto rigidi all’avvicinamento degli altri, in particolare delle persone del sesso dell’abusante, con radicati pensieri di mancanza di fiducia, di pericolo e di invasività
  • Presenza di difficoltà nella sessualità: spesso, si rileva una mancanza di “interesse” per la sessualità, oppure anorgasmia, bisogno di controllo eccessivo, difficoltà a fidarsi dell’altro. In altri casi, la sessualità può essere percepita come uno strumento di “avvicinamento dell’altro” e possono esserci delle difficoltà a mettere i confini con l’altro, essendo la sessualità utilizzata in modo seduttivo e strumentale ai propri bisogni e senza la consapevolezza dello scambio che può crearsi con l’altro
  • Sul piano mentale, la persona può rilevare le seguenti sensazioni: sensazione di avere una parte della mente “non cresciuta” (come se fosse rimasta legata all’episodio di violenza passato e non riuscisse a crescere), sensazione di non avere un’efficacia mentale (le persone si percepiscono come “inadeguate”) che le consenta di comprendere concetti astratti o complessi (da notare che tale percezione, spesso non corrisponde a realtà), sensazione di avere un “muro” nella mente, che impedisce di accedere a nuclei più profondi (in particolare ai ricordi)

Effetti della violenza sul piano mentale – Nel caso delle violenze, il piano mentale reagisce nei seguenti modi: la violenza viene vissuta come un evento doloroso da rimuovere e da negare, questo prevede che il corpo mentale, che si trova in una fase di formazione e che, nell’epoca infantile non è ancora del tutto e completamente sviluppato venga impegnato per chiudere, piuttosto che per espandersi (cosa che dovrebbe accadere, permettendo al pensiero di accedere ad una visione globale). Il controllo proviene dal corpo mentale che, non riuscendo a darsi delle spiegazioni efficaci sull’accaduto e a mentalizzare l’evento, inizia, pian piano a smontarlo, relegandolo in una parte chiusa ed inaccessibile della mente.

Possono restare sensazioni legate al piano emotivo, che compaiono in presenza di angoscia e di paura per alcuni eventi, alcune persone e alcune situazioni (collegate, direttamente o indirettamente all’evento). Inoltre, il corpo mentale, più che alla costruzione, tende alla difesa e, quindi, al controllo: questo produce un continuo restare focalizzati su una visione parziale e limitata, piuttosto che permettere di accedere ad una visione ampia che possa prevedere diverse sfaccettature e possibilità. Questo meccanismo è quello alla base della sensazione di avere una mente “immatura” o poco “responsiva” e di non essere in grado di essere “efficaci”.

Chiaramente la sensazione di inefficacia del piano mentale è una percezione che la persona sperimenta in quanto sente di non avere piena consapevolezza di sé e di avere dei nuclei a cui non può accedere (in quanto rimossi e controllati). Un altro effetto che viene percepito come mancanza di sviluppo del corpo mentale, è legato al fatto che è presente una funzionalità deficitaria della memoria a lungo termine, dovuta proprio alla rimozione delle informazioni inerenti la violenza (momento, eventi..). Tale rimozione provocherebbe l’assenza anche di ricordi che possono essere collegati all’evento e, quindi, gli eventi in generale dell’infanzia. Quindi, verrebbe utilizzata, anche in questo caso, solo una parte della mente, per evitare di accedere ai nuclei più profondi, rimossi. Tutto questo spiega perché, nel momento in cui , ad esempio, si inizia a meditare, le violenze possono riemergere, inizialmente come sensazioni e, via via, come immagini sempre più nitide e chiare.

Utilizzo della Meditazione – Liotti e Farina (2011, pag. 212 e seguenti) descrivono molto chiaramente come, fra le altre, le “psicoterapie sensomotorie” e gli approcci “mindfulness” possano essere efficaci nel trattamento dei DPTSc: le persone adulte che provengono da esperienze traumatiche sono particolarmente soggette a malattie organiche, e soffrono di somatizzazioni viscerali invalidanti, di sindromi dolorose croniche o di sintomi dissociativi somatoformi; inoltre possono soffrire di una sensazione di allarme per l’impossibilità di controllare il proprio corpo che avvertono come minaccioso e fonte di “tradimenti”. Questi modelli terapeutici, che partono dall’ascolto del corpo fisico, invece che dalle funzioni mentali superiori, possono essere molto efficaci, lì dove i soggetti affetti da questa sindrome tendono in realtà ad escludere dal processo terapeutico le informazioni che gli provengono dal corpo fisico.

La terapia basata sulla Mindfulness ha lo scopo di aumentare la consapevolezza dei propri pensieri, delle proprie emozioni e delle proprie emozioni fisiche, in un’attitudine di accettazione. L’impiego di questo tipo di terapie ha una tradizione consolidata nel trattamento di questo tipo di problemi, anche se non esistono ancora degli studi controllati che ne abbiano misurato l’efficacia. Comunque, gli AA. Ritengono che la mindfulness migliora la capacità di sperimentare sensazioni, emozioni e pensieri ed aumenta la capacità di concentrazione e di collegamento delle sensazioni ai propri stati mentali, il che la rende indicata per trattare sia i sintomi del DPTSc che i sintomi dissociativi pure connessi a questo tipo di traumi. La Psicoterapia Sensomotoria è, infine un approccio che, partendo dall’ascolto delle sensazioni corporee, e collegandole alle emozioni e ai pensieri, restituisce alla persona una nuova padronanza delle proprie percezioni, emozioni e pensieri, in un rapporto di forte alleanza e sintonia con il terapeuta (Liotti e Farina, pag. 214-215). La PEAC utilizza principalmente, nei suoi percorsi terapeutici, la Meditazione, quindi, come strumento per aiutare la mente a liberarsi dei nodi e delle negazioni che la accompagnano, permettendo un riemergere graduale di una maggiore libertà.